Oratorio di Santa Maria delle Grazie

 

La chiesetta, che si eleva in Piazza Generale Turba agli inizi di Via Roma, in origine era dedicata a San Rocco e probabilmente venne edificata e consacrata ancora nel 1404 e riformata nel 1488, stando a quanto affermano alcune fonti storiche conservate nell’Archivio della Curia Vescovile di Padova.

Quasi un secolo dopo, esattamente nel 1563, in occasione della visita pastorale compiuta dal Vescovo Argo Girolamo Vielmio per conto del titolare della sede, il Cardinale Francesco Pisani, un cronista vescovile annotava nel libro delle visite pastorali che l’oratorio di San Rocco aveva bisogno di restaurazione e ristrutturazione; sotto la data 13 ottobre 1563, infatti, il cronista affermava testualmente:” …..vidit etiam capella Sanctii Rochi, et mandavit eam reparari, que est prope ecclesiam Sancti Bartholomei de Gallio” (Trad. …..vide anche la cappella di San Rocco e comandò di ristrutturarla, cappella che si trova vicino alla chiesa di San Bartolomeo di Gallio).

Il fatto che l’oratorio fosse originariamente dedicato a San Rocco è facilmente spiegabile e comprensibile, considerato che il Santo era assai venerato sull’Altopiano di Asiago, il cui culto si diffuse a partire dal secolo XV dopo che l’Altopiano dei Sette Comuni fece atto di dedizione alla Repubblica di Venezia nell’anno 1404, l’anno in cui l’oratorio venne di fatto costruito.
Percorrendo le tappe della vita del Santo, attraverso una biografia anonima, denominata “Acta breviora”, composta in Lombardia proprio nel secolo XV, si viene a conoscenza che alla morte del padre Rocco lasciò la nativa Montpellier in Provenza per condurre vita da pellegrino in varie città d’Italia. Si prodigò ovunque, rivelando eccezionali poteri taumaturgici, nella cura degli appestati, dei quali finì per subire il contagio a Piacenza. Guarito, tornò in patria, dove subì il carcere. Nel 1485 le sue spoglie vennero traslate a Venezia, che divenne allora il principale centro di irradiazione del suo culto. Nella iconografia tradizionale il santo, popolarissimo come protettore dei pellegrini, degli appestati e dei prigionieri, è rappresentato in veste di pellegrino, con il cane che gli portò il cibo durante la peste, e una piaga sulla gamba sinistra.
Significativa a tal riguardo è l’orazione recitata dal sacerdote celebrante durante la messa del 16 agosto, festa del santo:” Custodisci, o Signore, il tuo popolo con assidua protezione e amore, e per i meriti del beato Rocco difendilo da ogni contagio dell’anima e del corpo”.
La venerazione, pertanto, a San Rocco diffusa in tutto l’Altopiano è in qualche modo legata alla comparsa in Europa della terribile “peste nera”, l’epidemia scoppiata in tutta la sua virulenza nel 1348-1350 e ricomparsa poi più volte: nel 1360-1363, nel 1371-1374, nel 1381-1384 e ancora successivamente, generando un’impressionante salasso della popolazione europea.
Non essendovi medicine in grado di salvaguardare le popolazioni dal contagio e tanto meno di guarirle e ritenendo che la peste fosse un castigo di Dio per i peccati degli uomini, non vi era altro mezzo o via di scampo che affidarsi alla bontà e misericordia del Signore e alle capacità taumaturgiche dei santi, come San Rocco.

Successivamente l’oratorio venne dedicato alla Madonna delle Grazie e in quella occasione fu collocato all’interno del piccolo tempio un “capolavoro d’intaglio in legno, che rappresentava l’immagine di Santa Maria delle Grazie”.

Una menzione particolare merita la visita alla chiesetta fatta dal Cardinale Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova e animatore del seminario secondo le indicazioni del Concilio di Trento, proclamato santo della Chiesa ad opera di Papa Giovanni XXIII; tale visita fu effettuata nell’anno 1664 in occasione della sua prima venuta tra le genti dell’Altopiano dei Sette Comuni.

Nell’anno 1855 l’oratorio venne completamente demolito perché pericolante a causa di insistenti infiltrazioni d’acqua, ma fu immediatamente riedificato a spese del sacerdote don Giacomo Martini “sopra un suo fondo in principio di via San Rocco”, oggi via Roma.

Nel 1916 i bombardamenti austriaci rasero al suolo l’oratorio, come del resto anche tutti gli altri edifici sacri e le case stesse del paese, ma dalle ceneri risorse più splendido che mai già nel 1922 a cura del Commissariato per la ricostruzione. Il 24 agosto del 1924 l’arciprete don Primo Giacomelli lo poteva inaugurare, collocandovi una immagine della Vergine delle Grazie.

Nel maggio del 1939 veniva donata alla chiesetta una statua di Maria Ausiliatrice da parte di una signora di Torino in memoria del figlio morto in guerra sulle nostre montagne e sepolto per lungo tempo nel cimitero di guerra “Di qui non si passa”.
La statua venne collocata nella chiesetta la prima domenica di ottobre dello stesso anno, dopo che le pareti interne del tempio erano state decorate dall’artista Vittorio Giacomello di Saonara.

Di pianta circolare, come sono del resto molti templi votivi costruiti nel dopoguerra, con le pareti interne scandite armonicamente da finte lesene o paraste e con una cupola, nel tamburo della quale sono riportati i versetti più significativi dell’Ave Maria, l’oratorio divenne monumento ai Caduti della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, i cui nomi si trovano a futura memoria scolpiti su quattro lastre di marmo bianco infisse sulla facciata sobria e lineare del tempio, mentre l’accesso è preceduto da due bracieri in pietra locale e in bronzo con vittorie aggettanti. Il coronamento dei bracieri porta scolpite le parole latine della preghiera dei defunti: “luceat eis” – “risplenda ad essi”.
All’interno si può ammirare la splendida statua della Vergine Ausiliatrice, donata dalla signora torinese in memoria del figlio morto sulle nostre montagne, ed un quadro, di scarso valore artistico, raffigurante San Rocco con il cane, quasi a ricordare che il tempio in origine era dedicato a San Rocco.

Finco prof. Danillo